Per Non Dimenticare Nicola Costantini

Come Spartaco: da vinto a vincitore

Il padre della storiografia regionale, Prof. Raffaele Colapietra, nell’elencare gli antifascisti abruzzesi, scrive: “Finalmente Nicola Costantini, il muratore di Popoli, che è senza dubbio la figura più forte e più tragica di questa galleria di irriducibili [….] un assassinio politico che apparenta Nicola Costantini ad altre vittime abruzzesi del regime come Romolo Di Giovannantonio e Romolo Tranquilli“.

Un suo compagno di lotta, Quirino Giovani, così lo ricordò: è stato un martire; bravo, preciso, deciso, conosciuto attivista, stava spesso tra la gente, comunista serio, una testa, era un muratore cementista.

Nicola Costantini

Biografia

Nicola Costantini nacque a Popoli il 17 novembre 1893, morì a Nocera Inferiore il 3 agosto 1942. La sua morte fu un vero autentico assassinio politico. Per il suo convinto antifascismo, in più occasioni, come riportato nei rapporti e nelle memorie dell’epoca, venne pubblicamente minacciato di morte, “minacce dei fascisti di sparargli”. Condannato ripetutamente dalla apposita commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, venne inviato dapprima a Ustica, subito trasferito a Ponza; ancora inviato Ponza; infine, di nuovo a Ponza. Liberato dal confino l’8 settembre 1941, venne internato alle Tremiti e, nel marzo del 1942, trasferito per alienazione mentale al manicomio di Nocera Inferiore, dove morì per “collasso cardiaco da marasma senile”. Il tipico DELITTO DI REGIME cui si avvaleva la dittatura, (come in ogni parte del mondo), per eliminare gli oppositori più intransigenti.

Nel mese di aprile del 1918, venne arrestato per propaganda disfattista. Secondo i carabinieri, “Costantini, manovale, iscritto al PSI e segretario della sezione di Popoli, faceva propaganda disfattista tra gli operai degli stabilimenti ausiliari di Bussi, dove lavorava. Egli aveva infatti scritto su una cassetta, dove teneva i ferri da lavoro, “Viva Lenin”, e nelle ore di riposo, nel leggere l’Avanti! era solito dire che la guerra era lo sterminio della gioventù, e sparlava della giustizia italiana perché aveva condannato Costantino Lazzari”.

Con la conquistata scena politica e per il dinamismo espresso, alle elezioni amministrative del 24 ottobre 1920, venne eletto consigliere comunale. L’Avanti! del 26 ottobre, titolò: “Strepitosa vittoria, conquistiamo il Comune ed il seggio al Consiglio provinciale. A consigliere provinciale è riuscito il compagno deputato Trozzi. Sul municipio sventola la bandiera rossa”.

Il 21 gennaio 1921 era presente a Livorno, scelse di aderire a quel gruppo minoritario, dei “puri” per distinguersi dagli “unitari”, ma molto agguerrito nel contrastare il fascismo. Per quel congresso, insieme al piccolo gruppo dei comunisti popolesi, non si risparmiò. Il 21 novembre 1920 aveva partecipato al congresso provinciale a Sulmona, con 66 sezioni socialiste presenti.

Entrò, giovanissimo, nel partito socialista di cui divenne segretario della federazione giovanile, nel 1921 aderì al Partito Comunista d’Italia, fu il fondatore della sezione a Popoli e primo segretario politico. Appartenne agli Arditi del Popolo, sezione aquilana, organizzazione paramilitare sorta a Roma per contrastare quelle squadre fasciste di cui, ben presto, ne divenne il bersaglio principale.

Dopo i fatti del 1922, Popoli si oppose in armi alle squadracce fasciste, venne arrestato processato e assolto nel 1923. A seguito delle costanti minacce, delle ripetute aggressioni fasciste patite, l’incendio dell’abitazione, dei continui arresti di antifascisti popolesi, nell’agosto 1923 si rifugiò in Francia. Rientrò legalmente in Italia nel marzo del ’26, subito dopo il congresso di Lione (29 gennaio), quale fiduciario del Partito con l’incarico di riorganizzare la sezione comunista, ancora smarrita dopo il contraccolpo del ’22.

Il 20 aprile 1927 venne arrestato per attività antifascista e, il 19 maggio, condannato a 3 anni di confino da scontare a Ustica, poi trasferito a Ponza (29 ottobre 1928), dove restò fino al gennaio 1930. Aveva trentaquattro anni.

Nel 1930, all’indomani dalla liberazione dal confino, venne di nuovo fermato, perquisito e ammonito sulla base di una corrispondenza con fuoriusciti antifascisti in America, tali Pasquale Areta e Amedeo Di Cola, muratori di Trasacco, oltre che con un altro fuoriuscito popolese, Armando Di Ciccio, residente a Cleveland, in Ohio.

Cartellino della carta di identità con l’annotazione di “pericoloso in linea politica”

Sempre in prima fila, nella lotta contro il Regime, la mattina del 19 gennaio 1932 una ottantina di disoccupati, alla stazione di Bussi, aggredirono una cinquantina di operai che si recavano al lavoro, l’intervento della polizia portò all’arresto di 18 persone. L’indomani mattina da Popoli, un corteo composto da un centinaio di disoccupati, fra i quali vi erano due militi e 14 iscritti al fascio, si mise in marcia verso Bussi però, lungo la Tiburtina, venne bloccato dalle forze dell’ordine che, in seguito ai tafferugli, provvidero ad effettuare ulteriori 34 arresti. A seguito delle indagini svolte dalla milizia, unitamente a polizia e regi carabinieri, il 30 aprile venne di nuovo arrestato con Amedeo Cafarelli, operaio, e Nicola Orsini, esercente. Portati davanti alla commissione per le misure di polizia, i primi due furono assegnati al confino a Ponza per due anni, mentre per il terzo si attendevano istruzioni dal Ministero dell’Interno, trattandosi di un mutilato di guerra decorato al valor militare. Venne liberato il 30 aprile 1934.

Arrestato nel novembre del 1934 per la esposizione di una bandiera rossa, nel gennaio del 1935 venne liberato e diffidato.

La sua incessante attività antifascista portò al fatidico 8 settembre 1936, quando a Popoli si registrò l’arresto di ben “32 sovversivi che si andavano riorganizzando in presenza degli avvenimenti spagnoli”. L’OVRA era attentissima, già il 31 agosto aveva segnalato che “[….] negli elementi sovversivi poi la guerra civile in Spagna ha prodotto una eccitazione che va attentamente seguita e tempestivamente repressa”. Fra gli arrestati vi erano i più importanti esponenti del movimento comunista popolese, in primis l’immancabile Nicola Costantini, con Natale Camarra, Vittorio Mercogliano, Antonio D’Alessandro, Attilio Castricone, Ercole La Capruccia, Umberto D’Ingiullo, Biagio De Luca e Andrea Torino Rodriguez. In sintesi, quanto riportato nel rapporto dell’OVRA:

– in più occasioni si era recato a Sulmona per acquistare giornali sovversivi e stava raccogliendo fondi per acquistare un poligrafo per la stampa di manifesti da distribuire fra gli operai di Bussi e Piano d’Orta.

– Tentava di riorganizzare il disciolto partito comunista, propagandando teorie sovversive, prendendo a pretesto la rivoluzione in Spagna. – Cercava, inoltre, di provvedere alla sottoscrizione in sostegno del confinato politico Eustachio Sticca. Il rapporto non nascose, anzi risaltò, il fatto che l’arresto avvenne su segnalazione di confidenti dell’OVRA.

Appena rientrato a Popoli dal primo confino a Ponza, dimostrò tutta la sua sagacia, quando riferì ai compagni che nell’incontro clandestino che condusse al suo arresto, erano presenti lui e un compagno con il suo asino. Ebbene, ebbe a dire: Io non ho parlato, l’asino non parla, dunque …. e si scoprì un infiltrato all’interno del gruppo clandestino. Lo fu ancor più scientificamente quando registrò il primo figlio allo stato civile, (nei registri parrocchiali venne registrato come Antonio), con il nome di Lenin, portandolo a spasso, sempre scortato dai carabinieri, lo chiamava spesso a gran voce: “Lenin, Lenin” e il piccolo, innocentemente, rispondeva: “ma papà sono qui vicino a te”.

Dopo l’arresto avvenuto nel settembre 1936, venne condannato a 5 anni di carcere, tramutati in 5 anni di confino a Ponza, Camarra Natale a 3, Mercogliano a 2. Ebbe così iniziò il calvario di Nicola Costantini che, l’8 settembre 1941, da Ponza venne trasferito alle isole Tremiti, di poi trasferito al manicomio di Nocera Inferiore per essere legalmente messo a morte. Bastarono 138 giorni per eliminarlo legalmente!

Nicola Costantini al confino a Ponza

A Ponza, strinse una fraterna amicizia con Gastone Piochi, un confinato politico proveniente da Siena, con il quale condivise l’abitazione e il dolore della privazione della libertà. Grazie al Piochi sappiamo dell’avvenuta conoscenza di Pertini e l’amicizia con Terracini.

Quel fascismo nostrano che aveva riversato ogni malvagità nei confronti di Nicola Costantini, basti ricordare che i carabinieri lo portarono a piedi e ammanettato da Vittorito a Popoli, legato alla coda di un cavallo, (vivo ricordo di Quirino Giovani che lo colloca dopo i fatti dell’agosto/settembre 1922) sprofondò immediatamente in una crisi caratterizzata da spiccati personalismi e fortemente segnata da affaristici interessi.

-Relazione del sottoprefetto di Sulmona al Prefetto dell’Aquila del 7 luglio 1926, che riteneva essere quello popolese un Fascio poco considerato con i dirigenti fedeli ad Alessandro Sardi, figlio del ras sulmontino Gennaro: “Popoli, comune di settemila abitanti e <centro di qualche importanza>, aveva invece un fascio poco numeroso e poco attivo. Il suo segretario politico era ritenuto favorevole al Sardi e lo stesso si poteva dire del sindaco Colarossi. Entrambi tuttavia non avevano un grande seguito né esercitavano molta influenza”.

-Inchiesta del Federale di Pescara, nella quale vennero segnalati, “gli interessi privati che i gerarchi fascisti di Popoli coltivano con l’UNES e così di seguito …“.

-Contro alcuni di loro venne chiesto al Prefetto provvedimenti di polizia contro “individui macchiatisi della più grave bassezza, quella della calunnia …”. Fra i segnalati figurava anche l’avv. Giovanni Di Ciccio, già segretario del Fascio a Popoli. L’Adriatico, portavoce della federazione provinciale del Fascio, riportò che la segreteria nazionale: “ha ratificato il non rinnovo della tessera per Di Ciccio [….] e gli avvocati Pietro Martinez ed Ettore Terzini di Popoli”.

Una sua grande capacità nella direzione del movimento antifascista popolese, fu quella di far ricadere ogni colpa su di sé, per salvare i molti compagni e non smembrare le cellule clandestine. Se nella sommossa antifascista di agosto e settembre 1922, da Ardito del Popolo, era stato uno dei capi della rivolta, dal 1926, data del suo rientro dalla Francia, divenne il capo indiscusso del sovversivismo a Popoli. Per il Regime era troppo, quell’indomabile doveva essere annullato e per sempre, difatti a Popoli non tornò più. Avevano eliminato l’uomo, ma non riuscirono a cancellarne la memoria e il ricordo delle sue infinite battaglie. Un fascismo che non meritava un eroe del genere.